È proprio il suono dei motorini che sfrecciano sotto le finestre che mi fa capire che è cresciuta una nuova generazione di adolescenti e, finita la scuola, fino a mezzanotte si sentono i bolidi sfrecciare per pochi secondi, le risate dei gruppetti che si mettono preferibilmente lontani dai lampioni a far chiacchiere e a godersi le vacanze. Crescendo, l'adolescente tende ad abbandonare il nido (anche perché restar sempre sotto casa non è cool neanche un po') e la strada torna ad essere dominio dei più piccoli.
Per i primi tempi, complice anche un coetaneo abile coi carburatori che abitava qua vicino, molti ragazzi sfoggiavano le tre ruote di sgargianti e truccatissime Apecar che rombavano come se non ci fosse un domani per la gioia di trepidanti ragazze (i ruoli erano piuttosto separati e ben definiti). La moda imperante non dava alternative alle scarpe All Star; con qualsiasi temperatura, dal gelo artico al caldo tropicale, i piedi soffrivano all'interno degli involucri di tela e gomma, felici di appartenere a un gruppo.
Nella penultima fase, si sentiva già un po' arrivare l'hipsteria, per cui il motorino era diventato un po' out, ne bastava solo qualcuno per segnalarmi che era cresciuta la nuova ondata adolescente. Per il resto si andava a piedi, così si poteva evitare il casco che avrebbe rovinato il taglio di capelli e si potevano sfoggiare meglio i pantaloni attillati col risvolto e si riusciva a parlare dei gruppi musicali alla moda senza bisogno di urlare per sovrastare il rumore delle sgommate.
Piano piano, arriviamo ai giorni nostri e, più precisamente, a ieri sera.
Dopo un periodo di quiete, son tornati a rifiorire gli adolescenti. Le ragazze cominciano a comportarsi da ragazze, i ragazzi da ragazzi, ognuno aderisce al proprio cliché meglio che può.
I cappellini da baseball che si vedono in giro da un po' avrebbero dovuto prepararmi alla cosa, ma ieri sera, tornato prima del solito da un concerto, son sceso davanti dalla macchina e mentre scaricavo strumenti e amplificatori dalla macchina, dall'oscurità lungo il marciapiede arrivavano delle giovani voci. La cadenza era un po' strana, e ho pensato che magari qualcuno di loro aveva origini straniere, ma poi ho realizzato che questa cadenza mi ricordava qualcosa, più che straniera pareva ritmata. Allora ho smesso di far rumore e ho ascoltato bene: era proprio una cadenza ritmata, era rap.
Un ragazzo improvvisava rime, o meglio: faceva freestyle, e lo faceva con una certa grazia, mentre gli altri lo ascoltavano. Poi è arrivato il turno di un altro che ha continuato sulla stessa linea. Dopo qualche minuto ho avuto il timore che si accorgessero che li stavo ascoltando e non volevo che avessero la sensazione che stessi violando il loro circolo serale estivo (ai miei tempi mi sarebbe scocciato che un adulto origliasse i fatti nostri; non che tramassimo chissà che, di solito giocavamo a Machiavelli, ma erano comunque fatti nostri).
Ho ripreso a scaricare i miei amplificatori e i borsoni coi cavi pensando che, da quando abito in questa casa, era la prima volta che mi accorgevo che i ragazzi si riuniscono le sere d'estate e provano a fare qualcosa di creativo, e ho pensato che è una cosa bella.
Poi, è arrivata la mezzanotte e i ragazzi si son salutati e sono andati a casa. Han 13 anni, non possono mica far le ore piccole.
Nessun commento:
Posta un commento