domenica 19 ottobre 2014

Ritrovamenti




L'altro giorno, a casa del mio babbo, ho ritrovato una scatola con un po' di cassette interessanti, perlopiù registrazioni dei gruppi con cui suonavo fino al 1992/1993. Fra queste "Ascoltabile", una cassetta con alcuni brani degli Wops, il mio primo primissimo gruppo, in attività fra il 1986 e il 1989.
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Cartolina ufficiale del gruppo. Le giacche erano perlopiù prese in prestito.
Siccome nel mio stereo c'è ancora la piastra mangianastri, ho messo su la cassetta. Anche se son da solo in cantina provo un po' di imbarazzo quindi, per stemperare l'atto di questo ascolto di per sé piuttosto emozionante, nel frattempo fingo di essere distratto dalle faccende di casa.

A un certo punto però arriva una canzone che avevo rimosso e che si intitola 4 colpi - il blues del morto nell'orto. Credo sia la prima canzone che abbia mai scritto, all'età di 15 o 16 anni, e a essere eseguita in pubblico. Scrivevo spesso musichette, o più che altro le scopiazzavo qua e là, ma le parole praticamente mai, mi vergognavo troppo.
L'unico modo per riuscire a far ascoltare parole scritte da me era scrivere cose un po' scherzose e soprattutto farle cantare a qualcun altro, in questo caso a Gianluca detto il Ragno, cantante ufficiale del gruppo. Fu così che scrissi questo blues che si differenziava da altri mille blues identici solo per il testo, un resconto di un incidente di caccia dalla voce del protagonista che, un po' come William Holden in Viale del tramonto, narrava della propria morte avvenuta per mano di un entusiasta cacciatore e avente come unici spettatori gli ortaggi a cui il protagonista si stava dedicando con solerzia.
L'imbarazzo nell'ascolto è rimasto, però a un certo punto, il cacciatore  "mi scaraventò in un fosso/ e scappò via a più non posso/ fui trovato dopo una settimana (stop!) /per il naturale odore che il morto emana".

Son sicuramente preso un po' dalla nostalgia, ma gli ultimi due versi mi paiono scritti con una certa grazia, nonostante l'argomento. 
Sono passati altri 12/13 anni prima di scrivere altre canzoni, seguiti da un altro periodo vuoto di 10 anni, ma alla fine ho cominciato a comporre abbastanza regolarmente. Il blues del morto nell'orto non è riuscito a entrar in alcun disco, però è un bel ricordo, soprattutto per quella volta che la suonammo sul rimorchio di un trattore (una delle tante volte su un rimorchio, in effetti) davanti agli astanti di una festa di parrocchia di un piccolo paesino nel cesenate, suscitando le ire di un paio di attempati cacciatori che si sentirono offesi. Code di paglia, gnè gnè gnè.
Emozione purissima, non capita spesso
Emozione purissima, non capita spesso

Un altro momento emozionante: nel lato B della stessa cassetta c'è anche la registrazione di un concerto del 1989 in cui, fra i brani in scaletta, trova posto anche Stand By Me. Ecco, non avrei mai immaginato che 25 anni dopo mi sarei trovato a suonare quella canzone insieme al suo autore, e che quell'ometto gentile mi avrebbe chiamato al centro del palcoscenico per suonarci un assolo alla fine del concerto.
Ragno, Paolino, Riccardo, Luca, Lupin, Samantha, Vasa, Silvia, e tutti quelli che son passati negli Wops, grazie di nuovo.
Di seguito, il mio assolo, notare la mia espressione quando vengo chiamato al centro del palco.  Che storia.

Questo post è stato già pubblicato nella rubrica 'Pianeta Farnedi' su  www.stonehand.it.

https://www.youtube.com/watch?v=RplgzVeoBCI



giovedì 3 luglio 2014

Circoli serali estivi.

Da quando mi son trasferito, 12 anni fa, mi sono reso conto che ogni 3/4 anni si rinnova la generazione di adolescenti della nostra via. Essendo questa una strada senza uscita è abbastanza normale vedere i bambini gironzolare liberi senza gli onnipresenti genitori. Quando i bambini crescono e diventano adolescenti di solito preferiscono le chiacchiere sulle panchine del parchetto al pallone, si mischiano più volentieri maschi con femmine e abbandonano la bici per il motorino.

È proprio il suono dei motorini che sfrecciano sotto le finestre che mi fa capire che è cresciuta una nuova generazione di adolescenti e, finita la scuola, fino a mezzanotte si sentono i bolidi sfrecciare per pochi secondi, le risate dei gruppetti che si mettono preferibilmente lontani dai lampioni a far chiacchiere e a godersi le vacanze. Crescendo, l'adolescente tende ad abbandonare il nido (anche perché restar sempre sotto casa non è cool neanche un po') e la strada torna ad essere dominio dei più piccoli.
Per i primi tempi, complice anche un coetaneo abile coi carburatori che abitava qua vicino, molti ragazzi sfoggiavano le tre ruote di sgargianti e truccatissime Apecar che rombavano come se non ci fosse un domani per la gioia di trepidanti ragazze (i ruoli erano piuttosto separati e ben definiti). La moda imperante non dava alternative alle scarpe All Star; con qualsiasi temperatura, dal gelo artico al caldo tropicale, i piedi soffrivano all'interno degli involucri di tela e gomma, felici di appartenere a un gruppo.
Nella fase successiva c'erano solo scooter e simili, con aggiustamenti acconci di look.
Nella penultima fase, si sentiva già un po' arrivare l'hipsteria, per cui il motorino era diventato un po' out, ne bastava solo qualcuno per segnalarmi che era cresciuta la nuova ondata adolescente. Per il resto si andava a piedi, così si poteva evitare il casco che avrebbe rovinato il taglio di capelli e si potevano sfoggiare meglio i pantaloni attillati col risvolto e si riusciva a parlare dei gruppi musicali alla moda senza bisogno di urlare per sovrastare il rumore delle sgommate.
Piano piano, arriviamo ai giorni nostri e, più precisamente, a ieri sera.
Dopo un periodo di quiete, son tornati a rifiorire gli adolescenti. Le ragazze cominciano a comportarsi da ragazze, i ragazzi da ragazzi, ognuno aderisce al proprio cliché meglio che può. 
I cappellini da baseball che si vedono in giro da un po' avrebbero dovuto prepararmi alla cosa, ma ieri sera, tornato prima del solito da un concerto, son sceso davanti dalla macchina e mentre scaricavo strumenti e amplificatori dalla macchina, dall'oscurità lungo il marciapiede arrivavano delle giovani voci. La cadenza era un po' strana, e ho pensato che magari qualcuno di loro aveva origini straniere, ma poi ho realizzato che questa cadenza mi ricordava qualcosa, più che straniera pareva ritmata. Allora ho smesso di far rumore e ho ascoltato bene: era proprio una cadenza ritmata, era rap.
Un ragazzo improvvisava rime, o meglio: faceva freestyle, e lo faceva con una certa grazia, mentre gli altri lo ascoltavano. Poi è arrivato il turno di un altro che ha continuato sulla stessa linea. Dopo qualche minuto ho avuto il timore che si accorgessero che li stavo ascoltando e non volevo che avessero la sensazione che stessi violando il loro circolo serale estivo (ai miei tempi mi sarebbe scocciato che un adulto origliasse i fatti nostri; non che tramassimo chissà che, di solito giocavamo a Machiavelli, ma erano comunque fatti nostri). 
Ho ripreso a scaricare i miei amplificatori e i borsoni coi cavi pensando che, da quando abito in questa casa, era la prima volta che mi accorgevo che i ragazzi si riuniscono le sere d'estate e provano a fare qualcosa di creativo, e ho pensato che è una cosa bella.

Poi, è arrivata la mezzanotte e i ragazzi si son salutati e sono andati a casa. Han 13 anni, non possono mica far le ore piccole.

lunedì 9 giugno 2014

Innamorati del buffet


E fu così che al festival Dolce Vita di Rovigno (Croazia) è venuto il momento del party a sbafo.
Mentre Benny & the Cats suonano io scrivo.


in fondo avevo scritto Benny & the Cats, ma nella foto è venuto segato.


venerdì 2 maggio 2014

Capitan America vs P.E. Baracus



Ieri alla fine ho visto Capitan America 2 (che poi sarebbe il Soldato d'Inverno, ma così si capisce lo stesso). Ho ovviamente aspettato di vederlo nel mitico cinema Metropol/Caracol di Gambettola; non avevo fretta, in quel cinemone si possono stendere le gambe a più non posso e comunque il 3d mi lascia sempre quel filino di nausea.
Non dovrei fare spoiler, però occhio.

- inseguimenti: ci sono;
- scazzottate con arti marziali: ci sono;
- attrezzi ad alta tecnologia inventata: ci sono;
- storia di spie e misteri: ci sono;
- le doti espressive del protagonista: non pervenute;
- multirazzialità: si poteva fare meglio;
- esplosioni di automezzi: ci sono (anche se in un episodio dell'A-Team ce n'eran di più, attenzione);
- nazisti: più o meno direi ok;
- bei fusti con i pettorali depilatissimi: più d'uno;
- anime col sale grosso (che sarebbero poi semi di zucca tostati): ingerite;
- aerei che sparano/esplodono/volano/decollano in verticale: ci sono;
- belle topolone in tutine attillate: vavavooma!
- passaggi della trama fumosi: meno del solito, per essere un film Marvel, ma ce ne sono;
- sequenze dopo i titoli di coda: anche troppe;
- Stan Lee: c'è.

In definitiva c'è più o meno tutto, anche se una mezz'ora in meno non avrebbe guastato e si sarebbe risparmiato di molto su botti, proiettili e cose così.
Mancano tragicamente: tesori nascosti, gattini, coccole, bacini e John Cusack con una radiolona sulla testa, che avrebbe reso questo o qualsiasi altro film molto più godibile.



martedì 4 marzo 2014

Eroi di Carta - Seconda Parte


Eccomi qua con la seconda parte della mia unica classifica per l’anno appena finito (è già passato un mese abbondante, ma ho i miei tempi). I due libri più belli […]
quest'articolo è stato scritto per la rubrica "Pianeta Farnedi" su www.stonehand.it

Eccomi qua con la seconda parte della mia unica classifica per l’anno appena finito (è già passato un mese abbondante, ma ho i miei tempi).
I due libri più belli che ho letto, due saggi che parlano di fumetti.
supergod_ass_coverLa volta scorsa ho parlato di Maledetti Fumetti! e ho concluso dicendo che tra note e bibliografia c’erano un sacco di cose che invece mancano quasi del tutto in SUPERGODS (Bao, Milano – 2013), il bel librone di Grant Morrison. Un vero peccato, da quel che si capisce l’edizione americana ne era provvista e, per un volume che affronta il tema del supereroe e cita decine di storie e volumi, poterli andare a scovare sarebbe stato bello, ma questo è l’unico difetto che ho notato nell’edizione italiana di un libro che si è rivelato illuminante e fonte di ispirazione (per cosa ancora non lo so, vedremo), oltreché divertente.
Cos’è SUPERGODS ? Grant Morrison è uno dei più importanti autori della leva britannica che, nella seconda metà degli anni ’80, invasero il mondo del fumetto americano rinnovandone forma e contenuti. Arkham Asylum, la graphic novel su Batman che Morrison firmò insieme a Dave McKean, è tutt’ora la più venduta nella storia dei fumetti americani. I supereroi gli hanno data fama e successo e lui rende omaggio al mondo dei vigilanti in costume con questo viaggio a metà fra un saggio storico, un trattato di semiologia e un’autobiografia psichedelica.

250px-Action_Comics_1Il punto di partenza delle oltre 450 pagine è il primo e più potente dei supereroi, Superman. Dal 1938 ai nostri giorni, l’Uomo d’Acciaio ha dato il via alla prima invasione di eroi in calzamaglia dotati di poteri sempre più strabilianti (alle volte anche imbarazzanti, tipo la capacità di addestrare un bellicoso sciame di api, o quella di travestirsi da donna per combattere il crimine). A partire da quella Golden Age del fumetto americano, i supereroi non hanno mai smesso di rinnovarsi e di interpretare i bisogni di bambini e adolescenti.
L’avvento del Comics Code (la serie di regole per riportare la “moralità” nei fumetti di cui abbiamo parlato nello scorso articolo) costringe anche i supereroi a bandire il crimine e la violenza dalle proprie pagine. La Silver Age, dalla seconda metà degli anni ’50 in poi, si apre così a una serie  di tematiche nuove, grazie ad autori che mettono Superman a confronto con le proprie paure e i propri limiti: letteralmente sul lettino dello psichiatra.

ditko1Il libro procede raccontando del miracoloso sviluppo della Marvel Comics: sotto la guida illuminata di Stan Lee, coadiuvato dai migliori artisti sulla piazza, la casa editrice crea una serie apparentemente inesauribile di personaggi e storie in cui gli adolescenti riescono a riconoscersi e in cui le avventure in costume dei protagonisti procedono parallelamente a quelle affettive e quotidiane dei loro alter ego in borghese: Spiderman (fatico ancora a non chiamarlo Uomo Ragno, come è stato chiamato in Italia fino a poco prima dell’uscita del film di Sam Raimi) deve fare i conti coi compiti a casa e con le ragazze, I Fantastici Quattro con le dinamiche tipiche di una famiglia. Sotto il mantra per cui “da grandi poteri derivano grandi responsabilità” la Marvel riesce a rinnovare il modo di intendere il supereroe, portandolo fino ai limiti della psichedelia (del resto, fra le nuove leve degli autori di fumetti c’erano molti sperimentatori, e non solo per quel che riguarda nuove forme narrative). Chi conosce le opere di Morrison (Animal Man, Invisibles ecc.) può immaginare su quali fumetti si sia formato.

morrisonIl racconto prende una piega strana, affascinante e avvolgente quando, nel parlare del rinascimento degli anni ’80, lo stesso Morrison diventa uno dei personaggi della storia (cosa già accaduta in alcune sue opere di fiction, indizio rivelatore del suo modo di intendere la realtà stampata rispetto a quella che viviamo). Da qui in poi l’autore oscilla fra la storia del fumetto supereroistico e la propria autobiografia, fra il desiderio narcisistico di distinguersi fino a diventare una sorta di rockstar del fumetto, l’utilizzo di tecniche sciamaniche e magiche, i viaggi lisergici e viaggi reali; il tutto è raccontato con un trasporto tale da venirne risucchiati.
A questo si aggiungono il poetico incontro col “vero” Superman, personaggi che prendono vita e scrivono da sé le proprie storie, visioni mistiche, e tutta una serie di emozionanti riflessioni sul processo creativo (giuro: è davvero esaltante leggere queste pagine).

Per concludere: i supereroi e gli altri personaggi dei fumetti sono veri? Possono considerarsi vivi e reali, nel loro mondo a due dimensioni e quadricromia? Sono d’accordo con le parole dell’autore: “Le storie possono spezzare i cuori e fomentare le rivoluzioni. Le parole possono instillare energia nei nostri cuori o raffreddare il nostro sangue. E l’idea di Superman è tanto reale quanto l’idea di Dio”.
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domenica 2 marzo 2014

Eroi di Carta - Prima Parte


quest'articolo è stato scritto per la rubrica "Pianeta Farnedi" su www.stonehand.it

Finito l’anno vecchio si mettono in fila le cose più interessanti capitate, vissute e imparate. Sulla rete da qualche settimana è tutto un fiorire di classifiche personali di varia natura: i dischi più belli, i film più lunghi, i libri più noiosi e via andare.
Visto che il disco più nuovo che ho comprato nel 2013 era uscito a metà anni ’90 (non son proprio aggiornato, lo so), parlerò dei due libri più belli che mi sia capitato di leggere in quest’anno appena finito. Incidentalmente sono entrambi saggi e, ma qui il caso c’entra poco, parlano entrambi di fumetti.
la prima esplosiva apparizione di Braccio di Ferro/Popeye, godetene
la prima esplosiva apparizione di Braccio di Ferro/Popeye, godetene
Prima di imbattermi in una tromba e quindi venire risucchiato dalla musica, la mia unica ragione di vita erano i fumetti; adesso, anche se la musica mi dà da mangiare, le storie disegnate sono rimaste il capitolo di spesa più importante nella mia frugale economia domestica. Mi sconvolge sempre, quando mi imbatto in un buon racconto a fumetti, la capacità di ricreare un mondo estremamente reale e credibile con mezzi tecnici poveri e semplici.
cowboy, astronavi colorate e zitti!
cowboy, astronavi colorate e zitti!
Adesso disegnatori e coloristi usano anche il computer, ma il processo base di mettere una storia in una sequenza disegnata con nuvolette (o anche no) resta il modo più economico di raccontare per immagini.
Ci sono sì i fumetti d’autore, i romanzi grafici artistici e tutto quanto e mi piacciono da matti, spesso, ma quando penso al fumetto penso a Tex, penso all’Uomo Ragno (non Spidermancome si dice adesso), penso a Braccio di Ferro e a tanti altri personaggi e storie che nascevano e ancora nascono per uscire in edicola almeno una volta al mese col loro bell’odore di carta stampata, fumetti costruiti con una passione artigiana che su di me ha un fascino irresistibile e commovente.
I due libri che ho letto parlano di fumetti americani (del resto rappresentano una delle poche espressioni artistiche pop nate negli Stati Uniti, insieme al jazz e al rock’n'roll).
unnamedIl primo è il saggio di David Hajdu Maledetti Fumetti (Tunué, Latina – 2010; ecco, non è neanche uscito nel 2013, sempre aggiornato Farnedi). L’ho comprato nella libreria del Museo Wow (http://www.museowow.it/), a Milano, dopo aver visitato una mostra fotonica sui robot (ricordo con piacere una bellissima illustrazione di un automa birichino che, sparando razzi e raggi laser, mette a ferro e fuoco il Mulino Bianco).
anche Jerry Lewis subisce i malefici influssi dei fumetti e i suoi incubi sono popolati da Victor l'Avvoltoio
anche Jerry Lewis subisce i malefici influssi dei fumetti e i suoi incubi sono popolati da Victor l’Avvoltoio
Il libro è un racconto appassionato sulla caccia alle streghe che coinvolse i fumetti, i loro autori e i loro editori nei primi anni ’50. Grazie all’opera più che approssimativa di informazione di molti organi di stampa di quegli allegri Happy Days (gli stessi giorni felici in cui il senatore Joe McCarthy e la sua ghenga misero una nazione in uno stato di isteria anticomunista), si dava per scontato che i fumetti trasformassero i piccoli lettori in orde di sadici assetati di sangue (sul tema c’è il meraviglioso Artisti e Modelle, capolavoro ASSOLUTO di Frank Tashlin con Jerry Lewis e Dean Martin, mio cult movie da quando lo davano 5 volte al giorno in non so più quale canale privato negli anni ’80).
una dimostrazione di come lavorassero gli alacri censori del Comics Code
una dimostrazione di come lavorassero gli alacri censori del Comics Code
A dare una mano ci pensò anche l’eminente psichiatra Fredric Wertham, che in questo racconto è una sorta di villain spietato e per nulla accomodante. Il risultato furono decine di roghi pubblici di fumetti, case editrici fallite o quasi e la nascita del Comics Code, un elenco di regole a cui dovevano attenersi i fumetti per essere considerati innocui: bisognava far sparire mostri e vampiri, donne scollacciate, crimine, rapine, violenza, baci con la lingua e tutti i dettagli potenzialmente ambigui (un uomo con la fronte imperlata di sudore non avrebbe passato la censura, anche se fosse stato impegnato a vangare l’orto sotto il sole d’agosto, che si sa, il sudore è licenzioso), e via così. Ammettere di lavorare nel campo dei fumetti equivaleva a proclamarsi pedofili, molestatori e quel che più vi ripugna al mondo. Molti artisti non riuscirono a sopportare questa ghettizzazione: il volume si chiude con un elenco agghiacciante di centinaia di nomi di disegnatori, autori e creativi che dopo il 1954 non lavorarono mai più nel fumetto, e il numero di donne è impressionante, per un mondo dove son regolarmente pochine.
l’allegra gioventù americana dà il via a una serie di simpatici roghi di fumetti proibiti
Le lettere di protesta di adolescenti offesi dalla scarsa considerazione in cui gli adulti tenevano l’intelligenza dei propri figli, la battaglia per la sopravvivenza e per la libertà di espressione di editori come la EC Comics sono momenti eroici e toccanti del racconto al centro di Maledetti Fumetti. Una storia divertente e appassionante, forse raccontata a volte da un punto di vista partigiano, ma con una passione che è poi la sua forza. L’edizione è molto curata, con illustrazioni, un sacco di note, una bibliografia sterminata e una cosa curiosa, che ho trovato ottima, la postfazione di Matteo Sanfilippo che mette in discussione il saggio e l’obiettività di Hadju, evidenziandone i difetti.
le concilianti cover della EC comics
le concilianti cover della EC comics
Visto che mi son fatto prendere la mano, dell’altro libro parlerò nel prossimo post, così avete tempo di riposare gli occhi.
ps – per chi fosse interessato, ecco qua la pagina che il sito web  dell’editore Tunuè dedica a Maledetti Fumetti, su cui è possibile anche leggere i primi capitoli del libro.