lunedì 12 marzo 2012

Tutta la vita - A Noise Insopportable

“La musica molto spesso dà delle grandi sensazioni positive, ma molto spesso diventa un rumore insopportabile: A noise insopportable
E il pubblico giù a ridere.
“Questa canzone non è autobiografica, ma la canzone parla di tutti quelli che fanno musica: dei musicisti”.
Ne parlavo con Lollo, credo, poco tempo fa. O forse con qualcun altro, la racconto a chiunque, prima o poi, la presentazione di Tutta la vita. Però del disco dal vivo son sicuro di averne parlato con lui, dell’energia, di quella presentazione memorabile e di una canzone che dice come mi sento io quando suono, con parole che non le capisco mica bene, ma mi spiegano sul serio.
Qualche giorno fa, Dalla era morto da poche ore e io ero letteralmente sconvolto; mentre fioccavano i link su facebook, Lollo ha semplicemente scritto Tutta la vita.
 
Dalla l’avevo sempre ascoltato, sui dischi della mia mamma che lo adorava. Ci aveva anche portato a vedere il concerto con De Gregori allo stadio di Cesena e ricordava sempre che all’ingresso le avevano confiscato la bottiglia d’acqua, caso mai quella signora con due bambini avesse dato fuori di matto e deciso di lanciare la bottiglia della Norda in testa a qualche fan di De Gregori (che a lei, come a me, piaceva di più Dalla). Vabbè, non era proprio una signora, aveva 28 anni, ma era un’altra epoca. Mia sorella Fosca un po’ si ricorda, io non tanto, ma per anni ho consumato Banana Republic immaginandomi che mi spello le mani fra quel pubblico così evidentemente felice.

Cassette, raccolte, album: tutte le cose di Dalla che c’erano in casa erano impressionanti, infinitamente superiori agli altri (pochi) dischi di mia madre. E sì che c’erano Battiato, De Gregori, Battisti e altra robina così.
Dalla, per me che ero un bambino, aveva una forza che gli altri non si sognavano neanche (Battiato mi faceva molto ridere, in effetti, ma la musica era un’altra storia, non c’era gara). La voce di Dalla mi incatenava, naturale e potentissima insieme, con la sua bella dizione bolognese, con le doppie che saltavano e quelle improvvise bordate di suoni misteriosi (da bambino ero sicuro che fosse inglese autentico).

Lucio Dalla è un disco che conosco a memoria ma, da adolescente alle prese con la mia prima tromba, lo legavo più ai miei ricordi di infanzia, Viaggi Organizzati e Bugie invece suonavano più nuovi, pieni di tastierine elettroniche e melodie storte e testi di cui capivo poco o niente, ma che mi sembravano molto belli, soprattutto perché usavano parole normali. Esplosioni di suono e slanci di voce esaltanti. Tutta la vita mi piaceva tanto; non sapevo bene di cosa parlasse ma “tutta la vita a far suonare un pianoforte lasciandoci dentro anche le dita” era un verso bellissimo che in qualche maniera parlava anche di me.
Nel 1986 esce Dallamericaruso, un live registrato negli Stati Uniti da Lucio Dalla con gli Stadio. Ora come ora, il disco è ricordato perché c’è Caruso, ma per me la parte dal vivo è sempre stata più interessante, un po’ perché i dischi dal vivo mi son sempre piaciuti, un po’ perché Caruso mi è sempre piaciuta poco, ma soprattutto perché mi immaginavo di prender posto fra gli Stadio, alle spalle di Dalla, e suonar la mia tromba (o quello che avesse voluto lui) e divertirmi come sembrava si stessero divertendo loro in quel momento.
Tutti i brani son suonati con una foga travolgente, senza preoccuparsi poi tanto di suonar perfetto (alla fine Dalla ringrazia tutti quelli che hanno permesso “questo obbrobrio”). Quando arriva Tutta la vita, con la sua presentazione curiosa ed esilarante, mi si apre un mondo. Dalla dice che non ha mai avuto scelta, di fronte alla musica, può soltanto fare quello che sta facendo: suonare fino a farsi male, “salutando gli ultimi capelli”.
C’è tanta musica pop dedicata alla vita da musicista, album interi (tra l’altro Dalla è autore dello splendido adattamento italiano di The Road; Una città per cantare secondo me è di gran lunga superiore alla versione originale); non ho mai trovato però tutto il mistero, la fatica e la gioia del fare musica spiegati così bene come in questa canzone qua, in questi 5 minuti e rotti dal vivo, con la chitarra di Ricky Portera che se la gode, le tastiere che alzano continuamente il volume e citano Perfidia (Dalla era anche un orchestrale, a modo suo), la voce che splende, ride di sé stessa e mi fa morir di invidia.

Poi, un po’ divento più grande, un po’ divento cretino, un po’ la produzione di Dalla cala di qualità (ma non son sicuro che non sia perlopiù colpa mia e delle manfrine jazz che mi ciuccio tra i 18 e i 30 anni), fatto sta che non son più tanto aggiornato sulla produzione del mio cantautore preferito. L’ultimo disco lo compro nel 1996, ma più che altro perché la mia mamma è appena entrata in ospedale e immagino le possa far piacere; non lo cago più tanto, almeno fino a quando non mi riavvicino alla musica pop, ma anche lì prediligo gli americani.

Qualche anno dopo mi salta in mente di scrivere canzoni e comincio a suonarle in giro. Siccome 13 canzoni sono poche, cerco cover italiane, ma Dalla lo tengo alla larga, troppo difficile e spaventoso il confronto con la mia povera voce, anche se Tutta la vita sarebbe veramente da provare, c’è già la presentazione pronta.

L’anno scorso mi vien voglia di vinile (a breve un post all’uopo): mi procuro un giradischi, recupero i miei dischi a casa del babbo e mi accorgo che quelli di Dalla non ci sono. Probabile che la collezione della mamma ce l’abbia la Fosca. Allora decido di cercarli un po’ nei mercatini e trovo diverse cose e mi si stringe il cuore a pensare a quando li ascoltavo a 13 anni e mi rileggevo i testi e i nomi di musicisti, tecnici e produttori. Lascio lì una copia di Dallamericaruso pensando che tanto ho il cd, ma in effetti metter la puntina sui solchi di Com’è profondo il mare è veramente emozionante.

Qualche settimana avanti veloce: vengo da cinque giorni di influenza e non sto proprio bene. La radio in cucina annuncia che Lucio Dalla è morto in Svizzera (“in Isvizzera? a fare che?”) e, ricordi che saltan su, emozione, tutto tutto: do un po’ fuori di matto (ci sono i testimoni) ma sorvoliamo, che è meglio. Il giorno dopo sono a suonare a Padova e in quelle due ore di auto mi ascolto solo Dalla e in testa, un po’ per la febbre, un po’ perché va così, canto continuamente Tutta la vita (“domani compro un bel violino e una camicia di velluto, e ti saluto”).
Parlo a Simone, che mi dà una mano con cavi e microfoni, del fatto che son sconvolto dalla morte di Dalla, lui mi dice “potresti fargli un omaggio” e io mi rendo conto che non sono pronto per una roba così, forse non mi ci sentirò mai. Sicuramente adesso mi sembra poco rispettoso e non lo faccio di sicuro. Ma mentre suono e canto le mie canzoni penso sempre a quella canzone, a quella esecuzione del 23 marzo 1986 e alla voce di Dalla, allegra e inesorabile, che dice “…come un pallone che si è perduto io ti saluto, io ti saluto”.

questo è il video di quella versione di Tutta la vita, peccato manchi la presentazione.

ps - questo post è già stato pubblicato su Stonehand Ex Press, dove scrivo da qualche tempo!

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